CONDOVE, LA LEZIONE DEL GRANDE MARIO JANNON

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di JACOPO SUPPO

Era una bella giornata di agosto. Faceva caldo, molto, e stavo guidando da quasi due ore su una strada di quelle che si vedono nei film, con l’asfalto che sembra bollire e tutt’intorno deserto. Un panorama come tanti tra la California e il Nevada. Mi guardavo intorno senza pensare a niente, semplicemente riempiendomi gli occhi di un pezzo di mondo così distante dal mio. A riportarmi a terra, lo squillo del telefono. “Chi è che chiama? Ele, guarda un po’”. “E’ Jannon”. “Mario? Sarà per Vaccherezza…passamelo”. E invece non era per Vaccherezza. Voleva parlare di Condove, del suo futuro, di cosa fare in autunno. E poi voleva sapere cosa capitava a Roma, e delle primarie. “Sono in America Mario. Ti chiamo quando torno, ci vediamo e facciamo due chiacchiere”.
Io son tornato, ma non c’è stato nessun caffè, nessun incontro, nessuna chiacchierata. La salute che peggiorava, poi il ricovero e i giorni in ospedale. Tutto veloce, tutto quasi senza accorgersene, fino al pomeriggio di lunedì, quando ti ritrovi a cantare “Bella Ciao” al cimitero e capisci che una storia è finita per davvero.
Una storia iniziata tanti anni fa, quando ero un ragazzino e mia mamma era stata appena eletta Sindaco di Condove. Quel signore sempre in giacca e cravatta, elegante e sobrio non solo nel vestire ma anche nei modi, quasi stonava in quel gruppo di persone molto più giovani e rumorose che spesso frequentava casa mia. Era il più anziano, mi ricordava mio nonno (con cui infatti era molto amico), ma si capiva a occhi chiusi che era a suo agio in quel gruppo così fresco ed era entusiasta di far parte di quella nuova avventura che stava iniziando.
Ripeto cose già dette e scritte in questi giorni: sempre presente, instancabile, impeccabile, mai critico. Inclusivo, aperto e disponibile con tutti. Cose vere, appesantite dalla retorica, che è immancabile quando si saluta una persona così, ma vere. Qualità che per ognuno di noi son difficili da praticare nella vita di ogni giorno. Ovvietà pensando a Mario, abituati come eravamo alla sua straordinaria umanità.
In questi anni, in cui anche io mi sono avvicinato alla politica, il suo sostegno non è mai mancato. Dalle iniziative a difesa della Costituzione alla sua presenza alle serate pubbliche che ho organizzato per parlare di legalità, di buona politica, di lavoro, di diritti per i migranti, ecc. Quanti pomeriggi poi passati in piazza, sotto un gazebo a raccoglier firme per le cause più disparate. La sua c’era sempre, immancabile, preceduta da una telefonata per fare due parole. Una presenza che era partecipazione, perché lui sapeva bene che senza partecipazione non c’è democrazia, e senza democrazia non c’è libertà.
Qualche giorno fa ho conosciuto un anziano senatore, di qualche anno più giovane di Mario. Uno della sua generazione insomma. Soprattutto, uno della sua forza. Ha un piccolo blog (alla faccia dei suoi 82 anni) su cui un giorno ha scritto queste parole “Si dice che c’è disgusto tra la gente verso i partiti e verso la politica in generale. Questo disgusto nasce da un equivoco. La politica non è ciò che vediamo tutti i giorni in televisione: incontri tra segretari di partito, oscure dichiarazioni, linguaggio incomprensibile, noia. Politica è il vivere quotidiano in mezzo agli altri, sono le nostre esigenze, i nostri problemi: il lavoro, la scuola, i figli. Ciascuno di noi, come singolo o come gruppo, ha delle esigenze; politica è far andare d’accordo queste esigenze con quelle della collettività, con quelle generali”.
C’è poco da aggiungere. In questi anni così difficili e confusi, dove i riferimenti sono labili e mutevoli, l’unica cosa che possiamo fare è spenderci in prima persona. Non delegare, non adeguarsi, non arrendersi. Partecipare alla vita pubblica con determinazione, caparbietà, dedizione ma soprattutto con il sorriso sulle labbra, le braccia aperte e la mente in alto.
Duri, senza perdere la tenerezza, diceva qualcuno.
Quando tra qualche anno ci guarderemo indietro, chi ha condiviso un pezzetto di strada con Mario sarà felice di averlo fatto. Costruttore della nostra Italia ieri, testimone di impegno e di passione civica fino all’ultimo.

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1 COMMENTO

  1. Bravo Jacopo, la penso come te. Io non ho avuto la tua fortuna, l ho conosciuto tardi, nemmeno 15 anni fa, ma sono subito rimasta affascinata dalla sua persona. Anziché in giacca e cravatta si sarebbe potuto presentare in calzoncini corti e canottiera ma nn avrebbe fatto alcuna differenza. Elegante e signorile lo era nel profondo dell’animo, nn solo dal punto estetico e forse e’ proprio per queste sue qualità, purtroppo in via di estinzione, che ne sentiamo ancora di più la mancanza. Nn son potuta essere presente al funerale per motivi di lavoro ma mi e’ spiaciuto tanto quanto il mancato caffè con annessa chiacchierata ha lasciato a te l’amaro in bocca.

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