SUSA, IL PRESIDIO NO TAV È ABUSIVO: ECCO LA SENTENZA INTEGRALE DEI GIUDICI E L’ORDINANZA DEL COMUNE

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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 153 del 2013, proposto da:
MARIO DOMENICO FONTANA, GILDO MEYER, LUIGI CASEL, MARIO ANTONIO SOLARA, FRANCO ZACCAGNI, GIOVANNI VAZONE, MARISA VAZONE, rappresentati e difesi dall’avv. Domenico Fragapane

contro

COMUNE DI SUSA;
per l’annullamento
– del provvedimento di ingiunzione di demolizione e rimessa in pristino a firma del responsabile del procedimento e del responsabile dell’area tecnica del Comune di Susa, prot. 0013479 cat. 10, classe 1, del 7 novembre 2012, notificato il 4 dicembre 2012 e nei giorni successivi;
– di ogni atto comunque presupposto, preordinato, connesso e/o conseguente, fra cui il verbale di sopralluogo effettuato il 14.5.2012 da personale dell’Ufficio Tecnico e della Polizia Municipale del Comune di Susa, ivi menzionato e non meglio noto; la comunicazione di avvio del procedimento n. 0010230 del 22.8.2012.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 giugno 2014 il dott. Antonino Masaracchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso in decisione i ricorrenti hanno domandato a questo TAR l’annullamento, previa sospensione cautelare, dell’ordinanza n. 74, del 7 novembre 2012, del Comune di Susa (TO) con la quale è stato loro ingiunto di provvedere alla rimozione di alcuni “fabbricati e manufatti posizionati in assenza di titolo abilitativo sull’area individuata al catasto terreni nel Foglio 9 particelle 804”, ossia presso l’area sita in località San Giuliano, e consistenti in “un container prefabbricato tipo ‘modulo abitativo’, dalle dimensioni di m. 7.30 x 2.45, h. 2.25” ed in “una casetta in legno prefabbricato dalle dimensioni di m. 2.90 x 2.75, h. media 2.30, accostata lateralmente al container”.

Nell’atto, in particolare, si è dato conto di un sopralluogo effettuato in data 14 maggio 2012 ad opera del personale dell’Ufficio tecnico comunale e del Corpo di Polizia Municipale, e si è rilevato che le opere “sono configurabili fra quelle disposte dall’art. 3, comma 1, lettera e5) del D.P.R. 380/2001 e s.m.i. per le quali non è stato mai richiesto né concesso alcun titolo abilitativo”.

Nel ricorso i ricorrenti descrivono le opere nel modo seguente: “un container su ruote ed un piccolo capanno in legno, parimenti su ruote, l’uno e l’altro destinati ad essere strumento per lo svolgimento di attività di informazione strettamente connesso con la nota questione dell’Alta Velocità in Val di Susa”; si tratterebbe, in particolare, di “manufatti ripetutamente spostati, anche in aree diverse da quella in riferimento, in funzione di supporto a manifestazioni, incontri, assemblee, dibattiti, momenti di informazione e di condivisione del libero pensiero”.

Questi, in sintesi, i motivi di censura a sostegno dell’impugnazione:
– violazione dell’art. 10 della legge n. 241 del 1990, in quanto, nell’adottare il provvedimento finale, l’amministrazione avrebbe “ignorato” la memoria partecipativa e le deduzioni che i privati avevano recapitato nel corso del procedimento;
– mancata notificazione dell’ordinanza di demolizione a tutti gli attuali proprietari delle aree, con conseguente violazione dell’art. 31, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001;
– eccesso di potere per difetto dei presupposti e carenza di istruttoria; travisamento dei fatti: i manufatti oggetto di causa, contrariamente a quanto ritenuto dall’amministrazione, non avrebbero una destinazione durevole, non sono incardinati al suolo né sono dotati di allacci elettrici, idrici e fognari e perciò non poteva loro applicarsi il regime tipico delle costruzioni necessitanti di permesso di costruire;
– difetto di motivazione: ciò, con riferimento sia all’identificazione delle opere abusive (non sarebbe, all’uopo, sufficiente il riferimento all’area nella quale i manufatti sono stati collocati) sia alla mancata scelta della sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione.

2. Il Comune di Susa, pur regolarmente chiamato, non si è costituito in giudizio.

Con ordinanza n. 107 del 2013 questo TAR ha respinto la domanda cautelare, in particolare rilevando che le opere contestate “si palesando dotate del requisito della stabilità funzionale”.

Con ordinanza n. 2390 del 2013 il Consiglio di Stato, sez. VI, ha accolto l’appello proposto avverso l’ordinanza cautelare di questo TAR, evidenziando che il Comune non avrebbe “adeguatamente motivato le ragioni di fatto per cui riteneva nella specie applicabili le previsioni di cui al d.P.R. 380 del 2001, articolo 3, comma 1, lettera e5)”, per l’effetto accogliendo l’istanza cautelare presentata in primo grado.

Alla pubblica udienza del 4 giugno 2014, quindi, la causa è stata trattenuta in decisione.

3. Il ricorso non è fondato.

Priva di pregio è anzitutto la dedotta violazione dell’art. 31, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001. E’ certamente vero che il proprietario del fondo su cui è stato realizzato l’abuso deve essere destinatario dell’ordine di demolizione, e che per tale via egli è così in grado di impugnarlo; tuttavia, ove la notifica non sia eseguita, ciò non vizia l’atto, ma ne consente piuttosto l’impugnativa da parte del proprietario a partire da quando ne sia venuto a conoscenza (così, ex multis, TAR Lazio, Roma, sez. I-quater, n. 3266 del 2012).

In altri termini, come più volte evidenziato dalla giurisprudenza amministrativa, la mancata notificazione dell’ordine di demolizione a taluno dei comproprietari delle aree non determina un vizio di annullamento, ma determina unicamente il mancato decorso del termine di impugnazione nei riguardi di coloro che non hanno ricevuto la notificazione.
Non è poi fondato il terzo motivo (eccesso di potere per difetto dei presupposti e carenza di istruttoria; travisamento dei fatti).

Deve al riguardo richiamarsi l’orientamento, da ultimo autorevolmente ribadito dal Consiglio di Stato (sez. VI, sent. n. 2842 del 2014), secondo cui i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo.

La “precarietà” dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso specifico e temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità la quale non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo (in tal senso, già Cons. Stato, sez. IV, dec. n. 6615 del 2007). Nel caso di specie non può dubitarsi che i manufatti per cui è causa, pur strutturalmente precari (in quanto aventi la caratteristica della “mobilità”), fossero adibiti ad un uso permanente nel tempo: non foss’altro perché essi si trovano a giacere sulla medesima area quantomeno dal 14 maggio 2012 (giorno del sopralluogo effettuato dall’amministrazione), ossia già a partire da sei mesi addietro rispetto all’adozione dell’ordinanza impugnata.

Non consta, inoltre, che alla data attuale essi siano stati rimossi: con l’ulteriore conferma, essendo ormai trascorsi più di due anni dal primo accertamento, che essi sono stabilmente in loco e sono continuativamente e permanentemente utilizzati per le attività descritte nell’atto introduttivo. Non sono, pertanto, rinvenibili le caratteristiche di precarietà che, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e.5, del d.P.R. n. 380 del 2001, consentirebbero la loro installazione senza il permesso di costruire.

Non è degno di positiva disamina neanche il quarto motivo di gravame. Nessuna incertezza può seriamente allegarsi con riferimento all’esatta identificazione delle opere abusive, in quanto del tutto correttamente ed esaustivamente l’ordinanza impugnata le ha individuate mediante il riferimento sia ai dati catastali dell’area sia alle dimensioni e ad una sommaria descrizione delle opere stesse; del resto, nessun dubbio gli stessi ricorrenti hanno mostrato di nutrire al riguardo, essendosi riferiti, nella proposizione delle varie doglianze, proprio ai manufatti descritti dal Comune.

Manifestamente inconferente, poi, è la parte del motivo in esame che ha lamentato la mancata verifica, da parte dell’amministrazione, della possibilità di irrogare una sanzione pecuniaria al posto di quella demolitoria: nessun problema di possibile pregiudizio per parti conformi poteva, nella specie, porsi (ai sensi dell’art. 34, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, sostanzialmente invocato nel ricorso), posto che l’amministrazione ha contestato l’assoluta mancanza di un titolo edilizio ed ha, conseguentemente, ordinato la completa rimozione di tutte le opere abusive.

Alla luce della non fondatezza dei motivi appena scrutinati, deriva il rigetto pure del primo motivo di gravame con il quale i ricorrenti hanno dedotto la violazione delle proprie prerogative di partecipazione al procedimento amministrativo, allegando la mancata considerazione, da parte dell’amministrazione procedente, di una propria memoria inviata per fax il 12-13 settembre 2012.

Anche a voler ritenere che quella memoria non sia stata debitamente esaminata dall’amministrazione – e pur ricordando che, secondo un certo orientamento giurisprudenziale in passato sposato anche da questa Sezione, le ordinanze di demolizione, per il loro contenuto vincolato, non richiedono la previa partecipazione procedimentale della parte privata (cfr. da ultimo, ex multis, TAR Campania, Napoli, sez. VI, sent. n. 5839 del 2013) – nessuna conseguenza, in punto di annullamento dell’atto finale, ciò comporterebbe nella specie, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990: il provvedimento finale non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, proprio avuto riguardo alla non fondatezza degli argomenti addotti dalla parte privata in corso di procedimento.

4. Il ricorso, pertanto, è da respingere.
Non vi è luogo a pronuncia sulle spese del giudizio, non essendosi costituita in giudizio l’amministrazione intimata.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione seconda, definitivamente pronunciando,
Respinge il ricorso in epigrafe.
Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2014 con l’intervento dei magistrati:
Vincenzo Salamone, Presidente
Ofelia Fratamico, Primo Referendario
Antonino Masaracchia, Primo Referendario, Estensore

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