VIDEO E FOTO / “CARI GENITORI…”. LE LETTERE DI UN VALSUSINO EMIGRATO IN AMERICA NEL 1912

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La busta di una delle lettere inviate da Boston ad Almese

di FABIO TANZILLI

ALMESE – “Quando i valsusini erano emigranti”. Si intitola così la video-ricerca curata da Roberto Ferrero e inviata a ValsusaOggi, dedicata a un periodo importante della nostra storia. La ricerca è dedicata alla famiglia di Emilio Carello, che viveva a Rivera (frazione di Almese) per poi emigrare a Boston agli inizi del Novecento. Ferrero ha pubblicato il video sul Youtube, riportando le immagini d’epoca e una delle 51 lettere che un suo parente scriveva alla famiglia dall’America.

LA FAMIGLIA DI ALMESE EMIGRATA IN AMERICA



ALCUNE PAGINE DELLE LETTERE SCRITTE DA EMILIO CARELLO AI GENITORI

“Alla fine del 2017 sono stato contattato da mia cugina Ada Carello – spiega Ferrero – mi spiega che suo padre aveva conservato le lettere di Emilio Carello, emigrato nel 1912 con la moglie Emma e la figlia piccola Giuseppina/Josephine. In una scatola di panettone in metallo sono custodite gelosamente le 51 lettere di Emilio Carello, che scriveva a suo padre dall’America”.

Dopo averle lette, Ferrero decide di condividere una parte dei ricordi su Youtube: “Sono molto commosso, è una sensazione indescrivibile toccare le lettere scritte a Boston, 105 anni fa, da Emilio Carello…queste lettere hanno superato l’Oceano Atlantico e sono giunte a Rivera, in Valsusa, dove era nato…”.

Le missive venivano mandate da Emilio ai suoi genitori, Giovanni e Giuseppina Carello: “Loro due erano i nonni di mio papà Virginio Ferrero” spiega Roberto.

“Emilio si fece prestare i soldi per emigrare in America, li restituì con gli interessi e dopo mille peripezie a causa della guerra – aggiunge Ferrero – partì da Almese nell’ottobre 1912, quando aveva 25 anni, insieme alla moglie Emma (24 anni) e alla figlia Giuseppina (3 anni). Si misero in viaggio sei mesi dopo il naufragio del Titanic, che percorreva la stessa rotta. Sulla nave c’erano altri 1800 emigranti italiani, a metà viaggio dovettero affrontare la burrasca per 4 giorni e 4 notti”.

La famiglia Carello sbarcò il 4 novembre 1912 a Boston: “Arrivati in America, scriveva che tutto il mondo è paese” racconta Ferrero.  Nelle lettere inviate ai genitori, Emilio confidava le sue prime impressioni: “In America se ti vedono sputare per terra, ti fanno pagare immediatamente 18 scudi di multa – raccontava – ho trovato subito lavoro per 28,90 scudi al mese”.

Emilio faceva il meccanico, la moglie Emma era casalinga, mentre anni dopo la figlia Josephine venne assunta come contabile. Nata ad Almese nel 1909, morì in America nel 1986. “Emilio non ritornò più nella sua adorata Valsusa – racconta Ferrero – la moglie Emma invece rientrò ad Almese dopo aver vissuto 60 anni in America…morì a Rivera nel 1972, all’età di 88 anni. E’ stata sepolta nel cimitero di Milanere lontano dal suo adorato marito”.

 

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7 COMMENTI

  1. Per quelli che paragonano la nostra emigrazione con quella attuale degli extra comunitari, faccio notare alcune “piccole” differenze che rendono questi paragoni del tutto insensati, specchio di ignoranza, pressapochismo e buonismo “radical-chic” un tanto al chilo:

    – di manodopera ce ne era veramente bisogno, tanto che questo signore non è rimasto disoccupato nemmeno un giorno;
    – hanno subito avuto un alloggio decoroso ad un costo irrisorio, dato che oltre lo stipendio, mi pare di capire, ricevevano anche il vitto e un piccolo sussidio per moglie e figlio;
    – anche un comportamento maleducato, nemmeno un reato, veniva punito molto severamente, con una multa di oltre la metà dello stipendio mensile.

    Invece oggi i nostri “No Tav” vorrebbero che gli extra comunitari fossero liberi di attraversare i confini (magari il Colle della Scala a piedi con la neve) e che potessero poi girovagare liberi ed indisturbati per l’Europa, senza un lavoro, senza una dimora, senza arte ne parte, senza nessun controllo e impunemente. Babbei!

  2. Beati i vecchi emigranti a cui veniva offerto subito un lavoro di manodopera,a cui veniva dato un posto per dormire.Ai nuovi emigranti nulla,neanche la libertà di cercare una situazione migliore.
    Beato te al caldo a casa a scrivere sul pc….

    • Beati loro un corno!!!

      Il succo del discorso è che quando ci sono le condizioni (posti di lavoro vacanti, alloggi disponibili, strutture per garantire istruzione, sicurezza e dignità), ben vengano i migranti.

      Ma se tutto questo non c’è, per nessuno, i migranti non possono e non devono essere accolti.

      Libertà di cosa? Di vagare di nazione in nazione vivendo di espedienti e delinquendo? E’ questa la libertà?

      Beato me un corno!!!
      il caldo della mia casa me lo guadagno duramente lavorando 12-14, a volte anche 16 ore al giorno da trent’anni, con una professione che avrebbe enormi potenzialità in fatto di occupazione ma che i giovani non vogliono assolutamente intraprendere perché “spreme troppo il cervello”, come disse uno, disoccupato con laurea in informatica.

      Provi anche lei a spremersi un po’ il cervello prima di scrivere tali banalità. Si vergogni!

  3. Centrato l’obiettivo: andavano per lavorare e non per farsi mantenere cazzeggiando con i telefonini (al di là ovviamente che non c’erano)
    Però attenzione: non tutti i no-tav sono uguali. Io sono no-tav e no-clandestini da qualcuno anche definiti profughi.
    Forse il fatto è che in un movimento sano come il no-tav stanno convergendo anche altri che della tav non gliene importa nulla ma è solo un’occasione per fare casino.

  4. Bello e facile generalizzare…basterebbe provare per far cambiare idea a ste persone convintone…senza aver provato è facile….loro si spremono il cervello….sai che sforzo…gli altri tremano di freddo…

  5. Vogliamo aggiungere che gli attuali migranti vengono da paese spremuti lavorativamente causa materie prime di cui è ricca l’Africa? (Non da meno sono caffè è banane, coltivabili solo in quelle latitudini.)
    Danno contratti da schifo qui, a italiani, figuriamoci là. Logico che uno emigra, come il protagonista dell’articolo, che cercava opportunità.
    Rispettabilissima testimonianza di come il mondo non sia cambiato nella sostanza, ma solo nella superficie.

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