COAZZE, 2 OPERE D’ARTE NEL BOSCO SCAMBIATE PER RITI SATANICI: SONO DI SEVERINO MAGRÌ

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Foto da Facebook

di ANDREA MUSACCHIO

COAZZE – Fantasia ed opere d’arte. Se fossimo in un film ad episodi, o in un libro giallo dalla linea comica, si potrebbe pensare di titolare in questo modo per riassumere quanto successo a Coazze nelle ultime 24 ore. Ma per rispetto di chi si fosse perso “l’episodio”, andiamo con ordine e ricapitoliamo per bene.

Nei giorni scorsi, sono state affisse con dei chiodi due tele su due pini del bosco “Ugo Campagna” presente nel piccolo comune della Val Sangone. Tele che raffigurano dei volti oscurati da delle “macchie” nere color pece, se così si può dire. Le foto (pubblicate sul gruppo Facebook “Sei di Coazze se…”) sono diventate subito virali, tanto da attirare l’attenzione e la curiosità dei cittadini di Coazze e Giaveno. Dai riti satanici ai tiri al bersaglio su volti deturpati passando addirittura per gli alieni, i cittadini hanno provato a dare una spiegazione sul curioso ritrovamento nel bosco. “Sembrerebbe catrame vegetale – ha aggiunto un utente – utilizzato per attirare gli animali selvatici. Magari lì vicino hanno piazzato delle telecamere”.

Soluzioni fantasiose, ma che fortunatamente sono lontanissime dalla realtà. Infatti si tratta di due opere d’arte dell’artista giavenese Severino Magri, che ha deciso di riportare le sue creazioni nella natura. Una provocazione, che però ha ottenuto l’effetto sperato, ossia l’attenzione – e la reazione – da parte dei cittadini di Coazze e Giaveno. “Magari l’artista ha pensato che Sgarbi potesse passare dai boschi di Coazze – ha scherzato il primo cittadino, Paolo Allais, rassicurando tutti ai microfoni di ValsusaOggi – Fortunatamente sono solo due opere d’arte. Niente di trascendentale“.

D’altronde che non fossero riti satanici o quant’altro l’aveva già confermato per ValsusaOggi Rosangela Catalano, ricercatrice nell’ambito esoterico e autrice di libri dedicati al mondo dell’occulto: “La gente utilizza il termine “Satanismo” nell’accezione più da luogo comune, quello che gli esperti definiscono “satanismo acido” (cioè nell’insieme degli invasati metallari, giovani che assumono droghe, messe nere, sacrifici di animali, ecc). Il vero satanismo esoterico non contempla nulla di tutto ciò, si chiama satanismo razionale e non inneggia ad alcun atto di violenza, l’unico “dogma” se così possiamo chiamarlo, è relativo solo all’espansione della propria coscienza”.

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14 COMMENTI

  1. Diciamo che nessuna spiegazione, per quanto fantasiosa, si avvicina all’assurdità di definire tali schifezze opere d’arte…

  2. Affisse con dei chiodi agli alberi? Metodo poco ecologico. Meglio una bacheca con, magari, un testo che illustri l’opera d’arte.

  3. Il mio cane ne ha fatte un paio simili vomitando sul tappeto del tinello, averlo saputo le avrei conservate per venderle a qualche critico d’arte.

  4. Creazioni d’artista, non opere d’arte.
    Comunque non banali.
    I chiodi, poco opportuni ma non fatali per i due alberi interessati, non sono un’aggressione tale da poter affermare la presenza di una profanazione anche per l’ovvia assenza di sacralità in un bosco.
    Suggerirei di attendere dall’artista una prossima prova per dare un più compiuto giudizio.

  5. Diciamo che sono tipiche espressioni “artistiche” che piacciono ai detentori della “superiorità culturale”…noi inguaribili ignoranti non siamo in grado di apprezzare certe raffinate “provocazioni” che sono “comunque non banali” (Cit. Bruno)

  6. “sicuramente non banali”, certo ci va già una bella testa anche solo pensare di eseguire una roba del genere, che poi sia definita opera d’arte, beh ognuno è libero di considerarla come vuole.

  7. Molto bene, l’aggettivo “banali” ha colto nel segno.
    Come un foglio di carta moschicida ha fatto le sue prede.
    Il merito non è mio ma di Hannah Arendt che con il suo “La banalità del male” ha dato alla banalità o alla sua negazione un significato così profondo da raggiungere anche quanti non si sono mai sognati di leggerla.
    Un aneddoto potrebbe avvicinarci nei giudizi.
    Nell’estate del 1984 a Livorno esplose la beffa delle false teste in pietra arenaria di Modigliani, venute alla luce durante la pulizia di uno dei Fossi Reali (o Medicei).
    Eccellenti critici (Argan, Ragghianti, Duprè) tratti in inganno ne furono clamorosamente vittime.
    A trarli in inganno fu proprio la “non banalità” di quei dilettanteschi manufatti che oltre allo spirito burlesco livornese avevano in se un’intuizione indubbiamente creativa.
    Mi associo ora volentieri al medesimo rischio di aver visto, forse a torto e a differenza dei mei detrattori, un simile guizzo creativo anche in questa performance coazzese.
    Rinnovo il rilancio della palla all’artista per il passo successivo.

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