DA COAZZE PER CURARE I BIMBI IN AFGHANISTAN: “AIUTIAMOLI, L’EMERGENZA NON È FINITA”

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In foto Federico Martoglio

di ANDREA MUSACCHIO

COAZZE / HERAT – Federico Martoglio è un sottoufficiale della Marina mercantile. Dal 2009 al 2011 ha lavorato come operatore umanitario in Afghanistan, dove ha ricoperto la figura di capo progetto dell’ospedale pediatrico di Herat. Dopo anni a stretto contatto con la guerra, nel periodo che lui stesso ha definito come quello più duro e difficile, Martoglio non indossa più le vesti dell’operatore umanitario. In questo momento, il sottoufficiale di Coazze si trova su una nave italiana e sta navigando le acque del Mediterraneo per una nuova missione. Eppure il suo umore è grigio e il suo pensiero è lontano, molto lontano.

La mente e il cuore di Martoglio si trovano proprio ad Herat, in Afghanistan. In città si respira un clima di felicità, ma anche di preoccupazione. Dopo la decisione degli Stati Uniti di lasciare gradualmente il Paese, insieme alla coalizione internazionale della Nato, annunciando di fatto la fine di una delle guerre più longeve nella storia americana, sono arrivate le dichiarazioni nei giorni scorsi da parte dei gruppi talebani, che promettono di “fare giustizia nei confronti degli afghani che negli anni hanno collaborato con la coalizione”. In Afghanistan si trovano diversi ex collaboratori di Martoglio, in particolare il suo vice e assistente dell’epoca. Tutti loro, secondo il sottoufficiale di Coazze, sarebbero in pericolo di vita.

Sono veramente preoccupato – annuncia Martoglio – Tutte queste persone, che negli anni ci hanno aiutato con grande spirito di abnegazione e di servizio, sono a rischio. Loro come tutti i loro familiari. Una volta che le truppe lasceranno l’Afghanistan, i talebani imporranno la legge della sharia. La legge della sharia non perdona, soprattutto verso chi ha lavorato con gli “infedeli”, e quindi verso chi ha lavorato per l’Italia, la Germania, la Francia e via dicendo. Non avranno scampo. La loro colpa è quella di aver aiutato a salvare vite. Quella di aver fatto un lavoro onesto. In un paese vicino Herat c’è il mio vecchio assistente. Non lavora con la coalizione dal 2015, eppure sa di essere in pericolo di vita. Teme per la sua vita, come per quella dei suoi quattro figli. Io ho paura per lui. Non rientra nel programma di protezione, quindi non è potuto venire in Italia, come invece è capitato a suo fratello. Vorrebbe scappare, ma sia in Iran che in Pakistan la situazione è preoccupante e non è sicuro andarci. In Afghanistan al momento la situazione è più tranquilla, ma non sappiamo ancora per quanto. Mi preoccupa il loro destino. Per anni sono stati i nostri occhi e le nostre braccia“.

Era il 2 marzo 2010, quando Federico Martoglio rimase coinvolto in un tragico evento, che poteva costargli la vita. A salvarlo ci pensò proprio l’ex assistente. Da qui il desiderio di ricambiare l’enorme favore. “Voglio che tutti sappiano chi sono i veri afghani. Sono nostri amici, colleghi moderati e democratici come il generale Massoud, ucciso anch’egli dai talebani – prosegue – Non posso voltarmi dall’altra parte. Quando rischiai la vita, il mio assistente mi aiutò“.

Nei giorni scorsi, Federico Martoglio ha scritto anche al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, chiedendo un aiuto concreto nei confronti di tutti gli afghani che hanno lavorato negli anni con la coalizione internazionale. Insieme a lui, nella redazione del testo, ha collaborato Paola Chiesa, operatrice umanitaria della Croce Rossa proveniente da Giaveno e molto esperta di paesi in guerra. “Per me non sono collaboratori, ma membri della famiglia – conclude – So che il presidente della Repubblica ha ricevuto la mia lettera. Spero che possa leggerla. Il programma di protezione va allargato. Il mio obiettivo è che si faccia qualcosa. Il rischio che queste persone vengano viste come “infedeli” è troppo alto.  Vorrei che la mia storia, le mie parole arrivassero a Roma. In Val Sangone e in Val di Susa abbiamo tanti politici. Vorrei che mi aiutassero a condividere questo grido di allarme. Sono anni che ho lasciato il mondo umanitario, e non è detto che un giorno possa tornarci, ma adesso il mio cuore è ancora in Afghanistan. Vorrei solo che chi ha servito il paese ai tempi non finisca nelle mani di terroristi o fanatici, rischiando la morte“.


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3 COMMENTI

  1. Buona sera, non è possibile fare una raccolta fondi per poter far arrivare con vie ufficiali – ved. comunità di sant’egidio – con corridoi umanitari verso il nostro paese. Mi auguro che si possa effettuare tale raccolta attraverso i social oppure le parrocchie di ogni singolo comune.

    Violetta

  2. Ecco, finalmente! Vedo che qualcuno inizia ad ascoltare i miei preziosi consigli! Aiutate! Aprite i cuori e soprattutto i portafogli! Se è necessario, vendete le vostre case, ma aiutate! Io lo farei, ma la mia villa con piscina a Monte Carlo fa concorrenza alla villa del Principe di Monaco, e quindi non posso farlo. Voi vi siete goduti abbastanza i vostri soldi, adesso tocca agli altri! Forza!

  3. In tutti questi anni e dopo una miriade di missioni di “”””pace””””, che hanno costato decine di vite umane , solo per quello che riguarda l’Italia, per non parlare poi di emorragia economica. Il risultato è che non è cambiato una emerita cippa . Il brutto verrà quando ci sarà la resa dei conti con le milizie talebane, altro sangue e altro orrore per la popolazione afgana.

Rispondi a Radical Chic (non residente a Coazze) Annulla risposta

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