GIAVENO, DOPO LE POLEMICHE PARLANO I RICHIEDENTI ASILO DI BRANCARD: “C’È UN CLIMA OSTILE CONTRO DI NOI, PERCHÉ IL COMUNE NON CI ASCOLTA?”

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I richiedenti asilo di Giaveno provenienti dal Pakistan

di PAOLA TESIO

GIAVENO – Fakhar, Ahmed, Aqib, Afzaal, Adnan sono solo alcuni dei ragazzi di via Brancard Monterossino, arrivati a Giaveno dopo un lungo viaggio, partendo a piedi dal Pakistan e attraversando paesi come Iran, Turchia, Grecia. Ognuno lasciandosi alle spalle la casa, la famiglia, i ricordi più amati per raggiungere un orizzonte sconosciuto, nella speranza di trovare un lavoro, per sé e per aiutare i propri cari, rimasti nella terra d’origine.

«In Pakistan oggi ci sono numerose difficoltà – racconta Fakhar Abbas – non solo manca il lavoro, ma vi è scarsità di risorse, la luce per esempio viene concessa solo per alcune ore al giorno». Fakhar era un fabbro e realizzava pregevoli manufatti in ferro battuto. «Vorrei riprendere questo mestiere e a settembre desidero iscrivermi ad un corso per ottenere anche qui la qualifica».

Le baite di Brancard Monterossino, immerse ancora nella neve ormai ghiacciata, non sono mai state un ostacolo perché sebbene non vi siano servizi di trasporto pubblico, camminano per chilometri recandosi in città o nei comuni vicini per una giornata intera di lavoro, oppure a Torino, prestando servizi per ore ed ore retribuiti con delle paghe irrisorie. Eppure non si lamentano se rincasano tardi la sera, al buio, al freddo mettendosi in viaggio per quel misero guadagno di cui una parte viene mandata in Pakistan ai genitori. Specifica Fakhar Abbas: «Nel nostro Paese non c’è la pensione e tutti i figli aiutano le loro famiglie d’origine». Un rispettoso senso morale che talvolta si è smarrito nelle culture occidentali: «I nostri padri e le nostre madri hanno fatto tanti sacrifici per noi quando eravamo piccoli, ci hanno accuditi, vestiti, portati a giocare, istruiti. È impensabile che noi, una volta adulti, non facciamo lo stesso per loro».

Il sogno di Fahkar Abbas, come quello degli altri, è l’indipendenza economica, poter trovare un’ occupazione stabile che gli consenta di avere un permesso di soggiorno duraturo e prendersi una casa in affitto. I brevi rinnovi del visto e la mancanza di un contratto a tempo indeterminato fanno sì che tanti giovani come loro permangano nei centri di accoglienza. Talvolta possono insorgere problemi di convivenza tra diverse culture, magari sanabili ricorrendo all’ausilio di un mediatore interculturale.

Da qualche tempo i ragazzi di Brancard Monterossino sono stati duramente attaccati nei social network e sui media in seguito alle lamentele di una famiglia romena che ha abitato per un periodo in una casa di proprietà ubicata nel nucleo del centro di accoglienza, condividendo con loro delle parti comuni, come il cortile.

«Inizialmente – precisa Abbas – andava tutto bene, e si poteva convivere pacificamente. Ci si salutava, i bambini giocavano con noi e c’era armonia. Poi è stata fatta una denuncia nei nostri confronti per delle lamentele dovute, a loro avviso, a della musica alta oppure per un portone lasciato aperto e se la sono presa i pakistani. Dispiace che in seguito a tutto questo clamore adesso quando andiamo in giro per Giaveno, percepiamo della distanza e ciò mi rattrista; è un disagio non solo per me ma per tutti i ragazzi, anche quelli che verranno. Nel centro di accoglienza non ci sono solo pakistani, alcuni provengono da altri paesi, per esempio il Bangladesh oppure l’Afghanistan. Non si può fare “di tutta un erba un fascio”, ci sono persone “buone” o “cattive” in qualunque parte del mondo. Gli articoli pubblicati hanno creato, a nostro avviso, un immotivato clima di terrore, in quanto basati esclusivamente sulle dichiarazioni di una famiglia che si lamentava della nostra presenza a borgata Brancard Monterossino dicendo che avremmo addirittura causato il loro allontanamento. Non siamo stati contattati per dire la nostra su quanto accaduto e occorrerebbe sentire sempre “le due campane” e non basarsi soltanto sui racconti parziali di chi tra l’altro, sui gruppi Facebook aperti a circa 3000 utenti, ha continuato a inveire contro di noi, istigando al razzismo i vari utenti del social network. Inoltre raccontare a più persone con post pubblici, cose non vere per rovinare la nostra reputazione è reato di diffamazione. Da quando questi racconti sono stati pubblicati le persone che ci incontrano in città ci chiedono se noi siamo davvero così come ci hanno descritti e ci sentiamo feriti ed emarginati. Siamo anche stupiti dalle dichiarazioni espresse dall’amministrazione comunale su quell’articolo, in cui pare che le uniche spiegazioni accettate come veritiere siano esclusivamente quelle della famiglia che ha mosso le accuse nei nostri confronti. Perché l’amministrazione non dialoga anche con noi? In fondo in tutti questi anni amministratori e consiglieri hanno imparato a conoscerci: siamo i ragazzi di cui hanno scritto dei giornali in termini diversi, quelli che danno una mano a titolo gratuito per spalare la neve, che puliscono le strade, che aiutano nella manutenzione dei parchi e dei giardini. I ragazzi per cui la stessa amministrazione ha espresso parole di fiducia e di rispetto, e adesso non ci riconoscono più, semplicemente perché qualcuno ha detto male di noi. Ci sono troppe contraddizioni in tutto ciò, eppure sarebbe stato così semplice venire ad ascoltarci, vedere cosa facciamo e come siamo per rendersi conto di quale sia la verità».

Non c’è musica alta, non c’è internet, il televisore non funziona, il centro di accoglienza di via Brancard Monterossino è composto da una serie di baite, come le tante nelle numerose borgate di Giaveno. Umili, pulite, alcune stanze un po’ fredde, con arredi di recupero un po’ rovinati ed impianti probabilmente da rimodernare, ma con l’essenziale per vivere e loro lo fanno dignitosamente. Nulla a che vedere con le foto sensazionalistiche in cui si tende a ghettizzare questi luoghi, almeno non qui. Come ogni giorno, molti hanno raggiunto a piedi la città per spostarsi altrove, persino fino a Torino, per qualche ora di lavoro oppure alla ricerca di un’occupazione. Certo è doveroso avere un orizzonte più alto da seguire e Fakhar, Ahmed, Aqib, Afzaal, Adnan e gli altri ragazzi ce l’hanno, lo dimostra quella strada ancora gelida, ripida, percorsa innumerevoli volte, sotto la pioggia, la neve, il vento o sotto il sole, per andare a scuola oppure per guadagnare qualcosa. Qui, nonostante le difficoltà c’è il senso di famiglia e di ospitalità ed occorrerebbe imparare ad essere gli ospiti ognuno dell’altro.

Il filosofo George Steiner nel saggio “La barbarie dell’ignoranza” suggerisce un importante concetto di umanità: «Siamo gli invitati della Vita. Su questo pianeta dobbiamo essere reciprocamente ospiti! In lingua francese la parola ospite indica colui che accoglie e colui che viene accolto. È una parola miracolosa! […] Imparare ad essere gli invitati degli altri e a lasciare la casa in cui si è invitati un po’ più umana, credo sia questa la nostra missione, il nostro compito. […] Il nostro destino è di essere in viaggio tra gli esseri umani, essere sempre i pellegrini del possibile […] Ogni lingua è una finestra su un altro mondo, su un altro paesaggio, su un’altra struttura di valori umani».

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8 COMMENTI

  1. Eh, sì, con tutte le opportunità di lavoro che ci sono qui per noi italiani, di sicuro abbiamo bisogno di questi qui. Ci servono anche per poter continuare a mantenerli gratis alla faccia dei fessi italiani che dormono per strada o in macchina o in un container come i terremotati. Ci servono, infine e soprattutto, per pagarci le pensioni (come no?) perchè, altrimenti, quando saremo vecchi e decrepiti e FORSE potremo andare in pensione, se, dopo aver versato salatissimi contributi per una vita, potremo prendere quel tozzo di pane che questo governo ladro magnanimamente ci concederà, potremo di sicuro dire grazie a questi fancazzisti e al loro immancabile contributo alla società. Che bella favoletta. Palle di Natale. E non sono le palle dell’albero…

  2. Quindi; oltre che loro, dovremmo mantenere anche le loro famiglie ? In Pakistan , c’è la guerra ?

  3. Pakistan e Bangladesh. .. quei paesi tolleranti dove le religioni diverse dall’islam vengono attaccate e discriminate? Dove i non islamici vengono uccisi per strada con false accuse di blasfemia? Non possono andare a scuola, bere alle stesse fontane degli islamici ecc.? Forse per questo vengono guardati con occhi strani?

    • Mi sembra come minimo inopportuno dare voce a queste persone che si lamentano se non trovano lavoro e non vengono accolte bene
      Prima imparino a rispettare la nostra cultura le nostre leggi i nostri usi e costumi poi capiscano che non c’è lavoro per noi italiani cosa possono pretendere loro
      Dando l’iro questo spazio certo non gli si fanno capire queste cose…

  4. Ma sì, manteniamo tutti quelli che vengono da Paesi dove l’islam perseguita qualcuno, così ci ritroveremo in un battibaleno con qualche milione di persone da mantenere. Tanto, con una disoccupazione che sfiora il 40% e un italiano su tre che rasenta la soglia di povertà ce lo prossimo permettere. Garantisce Andrea Pero che non è ancora sceso dal pero.

    • Forse non ha letto bene o non ha capito. Non ho scritto di accogliere tutti. Ho scritto che ci sono molte ragioni perché vengano guardati con sospetto, a causa delle loro tradizioni, usanze e religione intolleranti e xenofobe. Caratteristiche che non facilitano certo l’integrazione. Specialmente poi se per i sentimenti anti occidentali non la cercano e non la desiderano nemmeno.

  5. Dovreste imparare a usare il cervello e un po di storia.
    Tolti i criminali che è giusto tornino a casa, queste persone cercano una possibilità e noi con una macchina a testa e non meno di 2 cellulari, facciamo a gara a dire la banalità piu scontata.
    I cosidetti leoni da divano e da tastiera.

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