GIOVANE DELLA VAL SUSA EMIGRA NEGLI STATI UNITI PER SPOSARE IL SUO COMPAGNO: LA STORIA DI DAVIDE BLANC / INTERVISTA

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Davide Blanc è un giovane della Val Susa che ha scelto di cambiare Paese ed emigrare negli Usa, per sposare il suo compagno, dopo 14 anni di fidanzamento. Ha 36 anni, è nato e cresciuto a Bardonecchia, ed è sempre stato un ragazzo orgoglioso delle sue scelte sessuali. Non ha mai nascosto la sua omosessualità, pur provenendo da una comunità piccola, come l’alta Val Susa. Pochi mesi fa, è emigrato negli Stati Uniti per sposare l’amore della sua vita.

GUARDA LE FOTO DEL MATRIMONIO DI DAVIDE BLANC CON JEFERSON

Proprio oggi si tiene nelle piazze di Torino, Roma e in tutta Italia l’iniziativa per i diritti dei gay #SVEGLIATITALIA, il tema è all’ordine del giorno perché il 28 gennaio il Senato inizierà a discutere del nuovo ddl sulle unioni civili, per il riconoscimento delle coppie formate da persone dello stesso sesso. Ecco quindi l’esperienza di un giovane della Val Susa, che ha scelto di vivere la sua vita accanto al ragazzo che ama. Oggi Davide vive a New York. “Sono le 6 e 45 e sono sul treno che mi porta al mio nuovo lavoro a Manhattan – spiega – leggo su Facebook e sui giornali italiani on line bestialità imbarazzanti sui diritti che in italia, ad oggi, ci sono ancora negati”.

Davide Blanc, quando avete scelto di sposarvi, dopo 14 anni di fidanzamento? E perché?

Ho conosciuto mio marito 14 anni fa in un locale gay di Torino. Era, ed è, bellissimo. Stavo per ritornare a casa, era ormai tardi, ma quando l’ho visto entrare ho deciso di superare la mia timidezza. Posai la giacca e diedi inizio alla più bella e riuscita delle mie avventure: la nostra vita assieme. Mio marito, questo è oggi davanti alla legge oltre che al mio cuore, è brasiliano. Al tempo era irregolare, senza permesso di soggiorno, ed io uno studentello con tanti sogni e pochi soldi.

Vi sentite una famiglia?

Da allora ad oggi ne abbiamo passate di tutti i colori: permesso di soggiorno, disoccupazione, problemi di salute, sogni infranti. Ma mai abbiamo smesso di supportarci e sopportarmi a volte. Sono stato la sua spalla quando non c’erano i soldi per andare in Brasile, dove sua madre era malata. È stato il mio punto di forza quando la mia famiglia di origine ha avuto bisogno di me. Non È questo essere famiglia?

Prima di andare negli Usa vivevate a Torino. Come siete arrivati a questa scelta?

Partiamo da Torino il 19 febbraio 2015 per venire qui a Newburgh, nello Stato di New York, sposarci, e tornare in Italia – dove avevamo due contratti più che decorosi al Caffè Elena, locale storico in Piazza Vittorio.

Che ricordi hai del tuo matrimonio con Jeferson?

Il 31 ottobre 2015, per Halloween, i documenti negli Usa sono pronti: il sindaco Judy Kennedy è disponibile. Ci sposiamo. Noi inclusi, eravamo in 12 e io ne conoscevo la metà, Jeferson meno. Ho cucinato delle lasagne alla ligure, mia madre un prosciutto. Ogni ospite ha portato qualcosa: chi il vino, chi dei dolci. Mia madre ha tradotto per Jeferson durante la cerimonia. È stato il giorno più bello della nostra vita.

La tua famiglia come ha vissuto questa scelta?

Siamo così famiglia che ci siamo sposati grazie agli sforzi della mamma: direi che siamo noi la famiglia tradizionale! Mia madre, come me, è cittadina americana. Passata la legge ci ha convinto a fare questo passo.

Perché avete scelto di sposarvi?

Perché? Per avere dei diritti su cui costruire qualcosa di stabile. Per poter scegliere fra Italia e USA senza essere prigionieri in patria. E io aggiungo: per poter gridare che questa è la mia famiglia, che amo mio marito e che guai a chi me lo tocca.

Il vostro sogno è adottare un bambino? Lo farete?

Io e mio marito ci amiamo da 14 anni e credo che con un po’ di impegno lo faremo tutta la vita. Se arriveranno un po’ di soldi, spero di convincerlo ad allargare la famiglia. Io ho già pensato ai nomi! E poi noi saremmo ottimi genitori, e i nostri vecchi ottimi nonni.

Che lavoro fai a New York? E come vi trovate negli USA?

Una settimana dopo il matrimonio, più per caso che per scelta, ho trovato lavoro nel ristorante di bandiera del gruppo Bastianich a New York. È lì che mi sta portando il treno. Il lavoro c’era, il rispetto sociale pure. Mio marito presto sarà cittadino americano.

In futuro, avete intenzione di tornare in Italia?

Se avevo dei dubbi sul tornare a casa, oggi leggere i commenti sulla stepchild adoption sui social, mi confermano nella mia scelta: in Italia si va in vacanza.

Perché?

Perché tornare in un Paese dove comanda una minoranza di bigotti e beghine? Perché tornare ad essere due finocchi quando possiamo – e siamo – una famiglia? Garantire ad un mio eventuale figlio biologico, di non rimanere orfano in caso di mia morte, sarebbe contro natura secondo 4 stronzi col consenso di 4 preti.  Un Paese dove le chiese sono vuote (qui sono piene), mi parla di natura e contro natura usando le argomentazioni della peggior gerarchia ecclesiastica. Quella stessa degli attici a sua insaputa, dei ragazzini violentati, delle tasse “voi si io no”. Che schifo.

 

 

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