LA VALSUSA PIANGE LA MORTE DI MARIA TERZIANO: MEMORIA STORICA DI MATTIE E DEL FRANCOPROVENZALE

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MATTIE – La Valsusa piange la morte di una delle sue memorie storiche. Oggi è mancata la signora Maria Terziano. Il messaggio di cordoglio è stato pubblicato dal Comune di Mattie: “Sarebbe lungo elencare il suo impegno, prima con il marito Luigi, poi da sola, per il mantenimento della memoria storica e del patois: l’opuscolo delle lezioni di matieral, la Martina, le testimonianze rese su pubblicazioni e siti. I ricordi…prima che venga notte!”.

Maria Terziano, classe 1930, era un punto di riferimento per tutta la comunità di Mattie e dei paesi limitrofi della bassa Valsusa. Ha collaborato per anni con il Comune, il Cesdomeo (Centro Studi Documentazione Memoria Orale), con l’associazione Ametegis, la Chambra d’Oc e altri enti di ricerca, donando la sua testimonianza e le sue memorie per gli studi sui mestieri tradizionali nelle valli francoprovenzali e sulla vita di un tempo, così come sulle antiche canzoni francoprovenzali.

Ha collaborato alla realizzazione di tantissime mostre e ricerche dedicate alla storia di Mattie: da quelle sulla lingua mattiese, fino ai cognomi e le casate antiche, senza dimenticare il dizionario francoprovenzale o l’approfondimento sulle ragazze dell’Azione Cattolica nel 1925. La signora Terziano era una fonte di sapere inestimabile.

Insieme all’amato marito Luigi Gillo aveva consentito la pubblicazione di libri e ricerche sullo studio del dialetto di Mattie, la traduzione e la trascrizione di parole, frasi e testi.

Per ricordare il suo impegno per la cultura locale, pubblichiamo qui sotto la sua testimonianza riguardo i mestieri di un tempo a Mattie, curata da Chambra d’Oc con una video-intervista.

“Quasi tutti [gli abitanti di Mattie un tempo] facevano i contadini. Poi i margari, tutti avevano una mucca a casa, o due. Poi, sulla nostra montagna ci sono tante di quelle grange diroccate perché monticavano… dicevano meré ameun, magari prendevano solo 4 o 5 bestie e guadagnavano qualcosa. Ma la maggior parte lavorava la terra, qualcuno andava già in fabbrica (forse dopo, proprio dire quando hanno cominciato…), qualcuno già in ferrovia. Dopo è poi successo che non c’era più… I bambini, finita la scuola, andavano, ancora ai miei tempi, andavano da garzone negli alpeggi, d’estate, ad esempio al Moncenisio.
E altro, beh ma c’erano i fabbri, c’è una famiglia nel cortile qui vicino a me che è soprannominata “quelli del Fabbro”. Piantavano la canapa ed è rimasto il soprannome di quelli che lo facevano, però la tela la portavano a fare a Coazze. Però mi ricordo che la piantavano ancora ai tempi della guerra la canapa.
C’era il mulino e i mugnai, sarti e sartorie… Poi quando hanno aperto il cotonificio allora da qui andavano tutti in fabbrica, erano diventati tutti operai.
E poi gli zoccolai, facevano gli zoccoli, e c’è ancora il soprannome, dopo i cestai, quelli che facevano le ceste, le gerle di salice, perché le gerle fatte con le liste di castagno passava a venderle Michele di Giaveno. Era della Maddalena [borgata montana di Giaveno, capoluogo della Valle del Tauneri] e arrivava con quattro o cinque gerle una dentro l’altra, girava dappertutto e le vendeva, le gerle fatte con le liste di castagno, non quelle fatte con i salici.
Poi c’era anche, un momento, c’erano anche quelli del Tessitore e arrivavano da Coazze e filavano la canapa. Gli antenati di mia nonna arrivavano da Coazze e Giletti, nella stalla, ho dormito fino a 10 anni nella stalla d’inverno, c’erano due grossi buchi e mia nonna diceva che tenevano i bastoni per filare la canapa, perché la cardavano. Poi un altro soprannome era quello del Britióou [“colui che pettina la canapa”], ai Giordani, i gemelli, perché le spazzole di ferro servivano per pettinare la canapa…
Ecco si sono conservati dei soprannomi proprio legati al mestiere che facevano una volta. Dopo è poi sparito tutto. Ma c’erano anche i forni dove facevano il pane, diciamo che qui erano tutti fornai perché tutti lo facevano… loro facevano il lievito madre e dopo facevano il pane. Comunque, c’era il forno ai Giodani, al Vallone e anche qui (Gillo).
Un tempo avevamo tutti una mucca e il raccolto più grosso era dato dalle castagne. Tanto è vero che io, i miei avevano una bottega e vendevano anche caffaro e zolfo per le viti, ma non tutti avevano i soldi per pagare e allora con le prime castagne venivano a pagare. I più poveri erano i più onesti. Erano una ricchezza [le castagne]… Beh le patate le mangiavamo perché non c’era altro e poi ne vendevamo anche un po’. E poi una cosa caratteristica di Mattie erano i fagioli. Si faceva anche la festa dei fagioli in occasione della festa patronale, il 16 settembre San Cornelio e San Cipriano, che era chiamata la festa dei fagioli perché era proprio il massimo. Mi ricordo, c’erano dei terreni chiamati “Le sanhes”, terreni umidi e venivano lunghi così. Passavano i carri a comprare i fagioli già sgranati e messi nei sacchi, e venivano anche da Giaveno, mi ricordo che erano in due con un carretto e venivano a comprare i fagioli. Era proprio una festa tradizionale, infatti, non si chiamava festa patronale in patois, bensì festa dei fagioli”.

 

 

 

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1 COMMENTO

  1. Avevo conosciuto la sig.ra Maria nel Maggio del 2012, molto buona e gentile, mi diede un pane benedetto.
    Ho sempre avuto un bellissimo ricordo di Mattie, le sue persone affabili ed i suoi territori: le Sanhes, la Cre’ du Cou, la pista forestale del Bosco Nero.

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