L’UOMO BRUCIATO IN AUTO A SANT’ANTONINO AVEVA TESTIMONIATO AD UN PROCESSO PER MAFIA IN CALABRIA / INTANTO LA PROCURA INDAGA PER OMICIDIO

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IL CASO di FABIO TANZILLI

SANT’ANTONINO – Troppe cose non tornano sulla morte di Mauro Coletto, l’uomo di Moncalieri trovato carbonizzato sabato notte nel prato a fianco del cimitero di Sant’Antonino di Susa. La procura di Torino ha aperto un’indagine per omicidio colposo.

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Intanto, si è scoperto che l’uomo possedeva e gestiva tempo fa un villaggio turistico in Calabria, vicino a Vibo Valentia, poi venduto nel 2010. Ma nel giugno 2015 era stato chiamato a testimoniare in un importante processo di mafia, con al centro le cosche dell’ndrangheta: il caso “Black Money”, dove i clan sono accusati di vari reati gravi, tra cui usura ed estorsione proprio nei confronti di imprenditori e negozianti locali.

Coletto possedeva il villaggio turistico “Agrumeto” a Capo Vaticano, località turistica nel territorio di Ricadi. Poi lo aveva venduto. E la sua testimonianza al processo era collegata proprio ai motivi delle cessione: il giudice voleva sapere se tale scelta fosse stata imposta dalla mafia. Coletta aveva negato il tutto, e parlato come teste a discarico dell’imputato Agostino Papaianni, arrestato per mafia e considerato il braccio destro del temibile boss Mancuso.

A proposito, Coletto aveva risposto alle varie domande dell’avvocato Michelangelo Miceli, affermando però di non aver ricevuto alcuna pressione sulla vendita del villaggio, da parte delle cosche e di Papaianni. All’udienza, l’uomo trovato morto a Sant’Antonino aveva anche spiegato di aver trattato la vendita inizialmente con alcune persone, ma di essere pervenuto ad un accordo nel 2010 con soggetti completamente diversi da quelli indicati in precedenza.

Mauro Coletto, 51 anni, viveva a Moncalieri, con le due figlie e la moglie. Proprio sabato, prima di trovare la morte, Coletto ha detto alla moglie che aveva un appuntamento di lavoro alle 18. Poi non è più tornato.

I primi riscontri dei carabinieri fanno sembrare comunque un caso di suicidio: in questi ultimi tempi, l’uomo avrebbe avuto dei problemi in famiglia, con un’imminente separazione dalla moglie, e difficoltà lavorative ed economiche, come venditore di filtri per auto. Inoltre, il medico legale ieri notte non aveva trovato proiettili nel corpo della vittima, così come traumi che potessero far presagire una morte violenta, prima delle fiamme.

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Aldilà dei passi che farà la Procura, il giallo di Sant’Antonino ha degli aspetti che poco fanno pensare ad un suicidio. Intanto le modalità: la scelta di cospargere l’auto di benzina dall’esterno, facendo partire le fiamme da dentro l’auto. Quasi a voler far sparire, in realtà, indizi o elementi, e soprattutto l’automobile. Una morte atroce e lenta, con il corpo divorato dalle fiamme. E per giunta l’auto aveva le portiere chiuse. Ad oggi non è stato neanche trovato alcun messaggio di addio, o una lettera dedicata alla moglie, o almeno alle due figlie, in cui Coletto provasse almeno a far capire il perché di un ipotetico suicidio, a 51 anni.

Anche il luogo della morte lascia perplessità: perché così lontano da casa, visto che Moncalieri dista quasi 50 km da Sant’Antonino? Pare che Coletto avesse già dei parenti seppelliti nel cimitero del paese della Val Susa, e quindi la scelta di voler morire qui sarebbe stata legata alla volontà di essere seppellito con i suoi parenti. Però, nel contempo, la scelta di Sant’Antonino apparirebbe strategica, in quanto
lontana da occhi indiscreti e testimoni, in una zona priva di telecamere e abitazioni vicine.

E poi, anche nel mondo social, Coletto non ha mai fatto emergere elementi tipici di una persona depressa, pronta a compiere gesti estremi, come quello di darsi fuoco in auto.

Anzi, proprio due giorni prima della morte, giovedì 3 marzo, Coletta aveva postato su Favebook tutta una serie di post con battute e gag video, ma soprattutto aveva anche condiviso la notizia del Festival Irlandese in programma a Torino da metà marzo, annunciando l’intenzione di andarci.

Sono certamente piccoli particolari, soprattutto tenendo conto che i social come Facebook possono anche utilizzati come “maschere” rispetto ai problemi personali, ma sarebbe assurdo non tenerne conto.

È davvero suicidio? Oppure in realtà il venditore di Moncalieri è stato ucciso da qualcun altro, anche prima di essere portato a Sant’Antonino, luogo invece scelto per poi incendiare tutto e far sparire eventuali prove? È stato un suicidio o una “punizione”, un regolamento di conti? Sarà la Procura a far luce sul caso, di cui se ne occuperà il pM Rinaudo.

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