STORIE DI VALSUSA: IL PARTIGIANO CESARE MONDON, SCAMPATO ALL’IMBOSCATA DEI NAZISTI

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di MARIO RAIMONDO

RUBIANA – Nel paese valsusino di Rubiana, poco prima del semaforo, una targa riporta i nomi di un fatto incredibile accaduto il 4 aprile 1945 quando quattro partigiani dopo un’operazione di rastrellamento caddero vittime di un’imboscata tesa dai tedeschi. Caddero in questo modo Ugo Bonaudo, Giovanni Cometto e Piero Rolle. Il quarto del gruppo, Cesare Mondon, si salvò per miracolo. Trent’anni fa mi racconto la sua storia con la preghiera di tenerla viva nella memoria, affinché ciò che è accaduto non debba ripetersi mai più.

Era una sera allegra, figlia di un tramonto primaverile radioso e dolcissimo. Le acque del Messa gorgogliavano in lontananza vivaci e quel rumore quasi ovattato sembrava essere come una musica leggera nella quiete della sera. Nel cielo la luce ,soprattutto quella della speranza, sembrava farla da padrona ed attorno ad essa, nello spazio infinito del cosmo, le stelle brillanti e pure luccicavano come dorati chicchi di grano gettati come semente ed alimento per un sogno: il sogno della libertà. Ed era davvero vicina, in quel principio di aprile del 1945 la libertà: era nell’aria, nella gente, nelle cose. La bestia nibelungica che sotto che sotto la croce uncinata aveva distrutto l’Europa, ora ansimava: regrediva ogni giorno di più sotto i colpi degli Alleati e il risveglio delle coscienze svelava ogni giorno di più di quanta barbarie fosse stata capace la civile Europa, di come il sogno di un Reich millenario si fosse trasformato per milioni di uomini nel più incredibile incubo del Novecento.

Ed era la primavera del 1945 quella sera d’aprile a Rubiana anche per quattro giovani uomini che avevano preso le armi per combattere per la libertà. Ritornavano alla base da un giro di ronda: erano felici perché la lunga guerra scoccata nell’ora del destino datata 10 giugno 1940 era al capolinea. Presto sarebbero potuti tornare a casa per riabbracciare la vita consueta, la donna amata: era il loro sogno di quella sera. Ma un tragico destino così non volle: un’imboscata crudele tarpò le ali a quel sogno e Ugo Bonaudo assieme a Giovanni Cometto e Piero Rolle caddero da valorosi combattenti sotto i colpi di mitraglia nazisti. Il loro sogno non vide più mattino. Cesare Mondon, nato a Condove nel 1923, era il quarto uomo di quel 4 aprile 1945 fortunatamente scampato ad una morte certa. Abitava nell’hinterland torinese quando mi ricevette per raccontarmi la sua avventura da “salvato dal destino”: un pezzo di storia vera da sembrare tratto da una scrittura di fantasia.

Signor Mondon, perché lei si trovava a Rubiana il 4 aprile del 1945? E che cosa successe?
Ero un partigiano dell’Esercito di Liberazione che operava in Valmessa. La sera del 4 aprile con i miei compagni di lotta tornavamo da un’operazione di pattugliamento che da Rubiana teneva sotto controllo le sponde del torrente Messa. Rientravamo appunto da questa operazione,da Madonna Randa e ci stavamo portando attraverso via Fornelli (Magò) verso l’albergo Nazionale. Era una sera illuminata da una grande luna. All’improvviso sentimmo dei rumori di passi. Pensavamo fossero dei partigiani e invece.

E invece?
E invece erano tedeschi emersi all’improvviso come avvoltoi nella notte. Erano una trentina e iniziarono subito a sparare all’impazzata,cogliendoci di sorpresa,anche se noi tentammo comunque di sottrarci a quella furia cieca,sparando a nostra volta. Fu tutto inutile perché una raffica di colpi ci investì tutti e quattro. Cademmo a terra. Tenga presente che i tedeschi erano a una ventina di metri da tutti noi e quanto le sto raccontando accadde in realtà in pochi secondi. Ero a terra ferito,affannato e ansimavo. Sentivo i passi dei tedeschi che si avvicinavano veloci a noi per darci il colpo di grazia. Dovevo smettere di ansimare, dovevo sembrare morto per sperare di sopravvivere,ma non ci riuscivo. Ero disperato perché i tedeschi erano ormai vicinissimi e se si accorgevano che respiravo avrebbero sparato. Chiesi aiuto a mio Padre che fu l’eternità in un attimo. Io sono sempre stato un uomo di fede. Il miracolo fu che smisi di ansimare. I tedeschi spararono ancora su d’un compagno che non era morto e furono su di me. Mi presero per i capelli alzandomi la nuca:con una pila illuminarono il mio viso e iniziarono a prendermi a calci nei testicoli, ma io non reagii. Riuscii a fingermi morto e ad evitare il colpo di grazia. I tedeschi immediatamente dopo scapparono ed io ero lì miracolosamente vivo,in mezzo all’inferno.

Quindi lei riuscì a sopravvivere, ma l’angelo della morte era ancora lì. Nei minuti successivi che cosa accadde?
Riuscii e non so come a strisciare verso i miei compagni che erano tutti morti. Ritornai allora nella posizione dov’ero caduto perché i tedeschi sarebbero potuti ritornare. Sentivo che la mia vita scivolava via con il sangue che usciva dalle mie ferite. La falce della morte era lì che attendeva l’ultimo stelo per la sua messe. Ma il destino così non volle. Poco dopo arrivò li una certa signora Bosio che inciampò in un caduto: io attirai la sua attenzione ed ella chiamò altra gente. Questa gente mi portò da Elena Casaz che abitava in una villa a Rubiana dove rimasi per un paio di giorni. Fui visitato,sempre di nascosto dal dottor Perri che mi pronosticò poche ore di vita. Nel frattempo,il giorno dopo, i tedeschi arrivarono al cimitero di Rubiana e quando scoprirono che v’erano solo tre cadaveri andarono su tutte le furie,perché ben sapevano che in realtà avevano sparato su quattro uomini. Non potevo più stare li perché se mi avessero trovato sarebbe stata la fine per me e per chi mi ospitava. Mi trasferirono allora all’ospizio dei poveri vecchi (Madonna Lourdes) e li grazie a don Pier Giuliano Cortese, splendida figura di sacerdote, fui nascosto e curato per dieci giorni. Dieci
giorni durante i quali la mia vita fu sempre appesa ad un tenue filo.

Poi lei fu trasferito all’ospedale di Rivoli in modo rocambolesco. Mi racconta come?
Le pur incessanti cure che mi prestavano all’ospizio non bastavano,non erano risolutive:occorreva la nano d’un chirurgo e questo si trovava all’ospedale di Rivoli. Al decimo giorno,Ernesto Giorda,grande esperto di montagna,con un gruppo di uomini mi caricò su d’una scala a pioli trasformata a mò di barella ed iniziò il mio trasferimento verso l’ospedale. Partirono dall’ospizio,scesero giù per il declivio,attraversarono il Messa, risalirono il pendio montuoso su fino alla Bassa, scesero a Valdellatorre e mi portarono dal dottor Pecetto,che era il medico di quel luogo. Subito costui mi fece un’iniezione di morfina ed io,sfinito dalla stanchezza e dal dolore,mi addormentai. Il mattino dopo avrei dovuto essere trasportato all’ospedale di Rivoli e appena mi risvegliai davanti a me c’erano
Valentino Chiarbonello, Oscar Negarville e Beppe Kovacich. Si erano portati appresso la bara.

La bara? Ma lei, pur essendo male in arnese, era ancora vivo.
Si, ha capito bene, la bara, la cassa da morto, che tra l’altro è maledettamente scomoda per i vivi. Il fatto è che da Valdellatorre a Rivoli non potevano trasportarmi né sull’improvvisata barella né con qualsiasi altro mezzo,perché la zona era in mano tedesca e qualsiasi movimento era intercettato dalle loro truppe. I miei compagni architettarono per il mio trasporto un funerale con tanto di documentazione. Mi sistemarono, “caro estinto”, nella cassa, lasciandola ovviamente socchiusa per permettermi di respirare, mi caricarono sul furgone mortuario della ditta Baudano e partirono verso Rivoli. Non dimenticherò mai quel viaggio. Ad Alpignano vi era un posto di blocco ed i tedeschi fermarono il nostro corteo. Lucia Baudano,che era con noi, piangendo per il congiunto morto esibì ai tedeschi i documenti che autorizzavano il trasporto del feretro da Valdellatorre a Rivoli. Furono momenti che durarono un’eternità con il sottoscrtto chiuso nella bara, scioccato e dolente. Sentivo i passi dei tedeschi attorno al furgone,udivo,attraverso il sinistro legno,le loro voci. Se solo avessero pensato di alzare il coperchio sarebbe stata la fine. Ma non accadde. Diedero il placet e giungemmo all’ospedale di Rivoli dove fui nascosto e curato fino alla mia salvezza,alla mia liberazione. L’angelo della morte non m’ebbe nella sua messe ed io per fato oppure semplicemente per volontà di Dio sono ancora qui a testimoniare di quei
giorni. L’aver vissuto nella carne un’avventura del genere quanto ha inciso nella sua vita
Tantissimo. La mia vita da allora è stata diversa, l’ho impiegata anche per riflettere. Ho conosciuto la vertigine e l’abisso, il coraggio e la viltà, ho conosciuto la solidarietà pura, quella che non richiede contropartite. Non dimenticherò mai don Cortese, Lucia Baudano, Ernesto Giorda, Guido Carbi e tutti gli altri,vero lievito dell’umanità.

E la Resistenza per lei che cosa è stata e che cos’ha rappresentato?
La Resistenza è stata il risveglio della civiltà dopo la narcosi della barbarie che ha portato alla liberazione. Ed è stata il “tesoro politico” che ha permesso ad Alcide De Gasperi di sedersi al tavolo dei cobelligeranti,ridando all’Italia quella dignità poi sancita dalla Costituzione Repubblicana.

E il nazifascismo che cos’è stato? Il putch alla birreria di Monaco di Baviera, i roboanti discorsi a Palazzo Venezia oppure il culto esercitato fino alla follia dell’uomo del destino?
Il fascismo ed il nazismo sono stati il disegno della follia che ha condotto al sonno della ragione. Dal punto di vista filosofico direi che il nazismo è stato una delle manifestazioni del Male nella storia.

Ha odiato quelli che la sera del 4 aprile 1945 hanno sparato?
Quelli che hanno sparato erano uomini come noi, ma sull’altro versante della storia. Chi lo sa, forse credevano di combattere per una causa giusta,forse no. Ma non li ho odiati,perché il sentimento dell’odio, come tutti i sentimenti negativi dell’animo umano, danneggia di più
chi lo prova e lascia indifferente chi lo subisce. Disarmare i moti dell’odio è ciò che rende migliore l’uomo e contribuisce a migliorare la società civile.

A conclusione di questo nostro incontro ed alla luce della sua esperienza mi torna in mente una citazione di John Donne riportata in un testo dello scrittore americano Ernest Hemingway ossia “Quando suona la campana, non mandare a chiedere per chi suona: essa suona anche per te”. Signor Mondon, quando sente “suonare la campana” che cosa prova?
Sottoscrivo ciò che lei ha citato perché quando “suona la campana” è un frammento di umanità che scompare. D’altronde l’uomo nasce anche per morire. E quando sento “suonare la campana” a volte torno a quel passato su a Rubiana, a quel suono del campanile di sant’Egidio. Provo un turbinio di sentimenti, un’emozione davvero indescrivibile a parole. Io, l’angelo della morte che volteggiava su di noi. Rivedo i nostri corpi caduti, rammento quella sensazione, quell’emozione di paura e stupore quando senti che la vita sfugge via. Rivedo Ugo, Piero, Giovanni, i loro sguardi sbarrati contro il cielo. In quel loro cielo dove precocemente la luna era tramontata.

 

 

 

 

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5 COMMENTI

  1. Ricordo mia madre classe 1927 , in una operazione analoga coinvolta dal comandante dei partigiani , lei possedeva un lascia passare perché lavorava alla torbiera , fu incaricata di portare un messaggio a una agenzia funebre di Rivoli nel quale si chiedeva di venire a prendere un partigiano bisognoso di cure ospedaliere , per strada in bicicletta fu fermata dai Fascisti e si mise a piangere per la paura se l’ avessero perquisita ,ma l’ uomo ebbe compassione e gli chiese perché di tale commozione ,lei disse che andava a trovare il mio nonno in ospedale ,lui la rassicuro e gli fece gli auguri ,quando giunse in agenzia il titolare leggendo la lettera cominciò ad imprecare dicendo che così facendo
    l’ avrebbero fatto ammazzare , mia madre fu molto scossa e diceva che quell’uomo si era salvato col rocambolesco trasporto funerario ma finita la guerra morì folgorato mentre rubava dei cavi , è strana la storia e la guerra ci rende pedine in un disegno che solo Dio conosce , quando a Torino ci furono i riconoscimenti per chi operò per la resistenza mia madre fu invitata per ricevere una medaglia ma si rifiuto , mio zio suo fratello fu arrestato e internato a Matausen riuscì a tornare ma mori poi per un incidente , mia madre diceva che non aveva più paura di niente per quello che aveva subito e per come sopravvisse al campo di concentramento.

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