CONDOVE, DA PRIGIONIERO IN AFRICA AD ASSISTENTE FAMILIARE CON “PASSO DOPO PASSO”: LA STORIA DI BAKO

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di FEDERICA CAPRIOGLIO (assistente sociale e mediatrice familiare)

CONDOVE – “Quando siamo partite, ero piccola. Mia sorella era ancora in fasce, per cui lei la traversata del deserto l’ha fatta sulla schiena di mamma, beata lei. Io mi ricordo soltanto che mi hanno fatta camminare tanto, tantissimo, ero stanchissima e c’erano un sacco di persone che non conoscevo. Cibo non ce n’era, non ho mangiato per giorni e, ad un certo punto, quando è finita anche l’acqua mi hanno fatto bere la benzina. Tu l’hai mai bevuta? Fa schifo, quel gusto me lo ricordo ancora come se fosse ieri, anche se sono passati dieci anni. Poi, quando pensavo di essere arrivata, mamma ci ha detto che dovevamo prendere una barca per attraversare il mare. Gli amici di mamma ci hanno fatto arrivare in Italia, dove siamo state messe in una comunità. Non è stato male stare lì, c’erano un sacco di bambini. E non dovevo più fare la fame, né bere benzina”.

La storia del viaggio di Ikra è molto simile a quella di Bako, 34 anni, uno dei più promettenti fra i nostri allievi del corso per assistenti familiari “Il Caregiver”. Bako mi ha da subito colpita per la sua attenzione e propensione per le relazioni umane ed è così portato per il lavoro di cura che pensavo si occupasse di quello da sempre. E invece no.

In fuga dal Mali e dalla guerra civile, la storia di Bako è molto simile a quella di tutte le persone che hanno cercato rifugio nel nostro paese, con un unico obbiettivo: continuare a vivere. Bako mi racconta la sua storia come se in lui appartenessero due vite distinte: quella da guida turistica e sarto in Africa e quella da mediatore culturale e assistente familiare qua in Italia. Tra queste due vite c’è un lungo calvario, una discesa nel “limbo”, fatta di 28 giorni di traversata del deserto del Mali a piedi, l’arresto in Algeria e la prigionia nei campi militari libici, a “mettere la testa delle bombe e allacciare le scarpe ai soldati”. Uno schiavo dunque? Sì, proprio come quelli che vediamo nei film. “Se non lavoravi ti ammazzavano” mi racconta e, se non bastassero i ricordi, restano le cicatrici delle ferite da coltello sul corpo: segni indelebili delle volte in cui ha cercato di ribellarsi alla schiavitù. Quando si è presentata l’occasione, Bako ha fatto una scelta: “Ho deciso di vivere invece di morire e sono scappato”. Riuscito a fuggire dalla prigionia, s’imbarca per l’Italia con altre 102 persone su una barca rotta e, dopo due notti a togliere acqua dall’imbarcazione, vengono tratti in salvo da una nave militare tedesca.

Arrivato in Italia, Bako passa in diversi Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) da sud a nord.

I CAS sono delle vere e proprie comunità in grado di accogliere dalle 20 alle 100 persone richiedenti asilo nel nostro paese. Al loro interno la vita quotidiana è strutturata secondo delle regole ben definite – ci spiega il dottor Alberto De Michelis, assistente sociale – nei vari CAS operano diverse figure professionali, che si occupano dell’iter giuridico della richiesta d’asilo, dell’ambito sanitario e dell’inclusione degli ospiti nella comunità territoriale, attraverso attività di volontariato, corsi professionalizzanti, ecc… Al suo arrivo, l’ospite firma un “patto d’accoglienza”, impegnandosi a rispettare determinate regole, quali il rispetto per i compagni di stanza, il rispetto degli orari imposti dalla vita di comunità e il rispetto degli spazi comuni. Uno dei vincoli del “patto d’accoglienza” è la frequentazione della scuola, perché imparare la lingua italiana è il primo vero passo per l’integrazione”.

Ma, i richiedenti asilo come vivono l’esperienza dei CAS? “A circa il 70% dei richiedenti asilo, il CAS sta un po’ stretto – continua il dottor De Michelis – perché le restrizioni alla libertà personale previste dalla vita di comunità sono difficili da accettare, soprattutto quando la privazione della libertà non è imposta da una condizione detentiva o patologica. Se si pensa che la maggior parte delle persone ospitate nei CAS è in salute e non ha commesso reati, il fatto di non poter pernottare all’esterno o di dover chiedere permessi per tutte le attività straordinarie alla regolare vita di comunità è vissuto come una situazione di detenzione, di prigionia”.

Dopo tutto quello che ha passato, per Bako il CAS è una passeggiata, soprattutto perché ben consapevole che non è “opponendosi al sistema” che si sarebbe integrato. Facendo tesoro di tutte le opportunità che gli vengono offerte, ottiene il permesso di soggiorno, inizia a lavorare come mediatore culturale e, grazie ad una serie di conoscenze in Italia risalenti ai tempi della sua “precedente vita” in Mali, arriva ad Avigliana. Qui si avvicina al lavoro da assistente familiare, un lavoro tendenzialmente stigmatizzato come prettamente femminile. E, invece, scopre di esserne molto portato. “Mi piace moltissimo questo lavoro, da essere umano è giusto prendersi cura degli altri esseri umani“, mi dice. Dopo aver frequentato con profitto il corso di formazione per assistenti familiari proposto dalla nostra cooperativa Passo dopo Passo Onlus, Bako sogna di specializzarsi nel lavoro di cura. Infatti, non si ferma qui e, mentre studia “Scienze umane” al liceo Marie Curie e fa le notti da badante, è in cerca di corsi che possano aiutarlo a specializzarsi ulteriormente.

E quando gli chiedo se gli manca qualcosa della sua vita in Mali, mi risponde: “No, quella era la mia vita passata, era un altro contesto. Ora sono qua e questa è una nuova vita per me, una rinascita. Allora, non posso che guardare avanti“.

La Cooperativa Passo dopo Passo s.c.s. Onlus mette a disposizione delle persone in difficoltà uno Sportello d’Ascolto gratuito, il sabato pomeriggio dalle 15.30 alle 18.30 (accesso libero, via Cesare Battisti 5, Condove), aperto a tutti, immigrati e cittadini italiani.

Per info sulle attività offerte dalla cooperativa potete contattarci al 3917561866 oppure via email a passodopopasso.info@gmail.com
https://www.facebook.com/coop.passodopopasso/
www.passodopopasso.135.it

(Informazione pubblicitaria a cura della New Press)

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14 COMMENTI

  1. Secondo voi perche sto qua era in un carcere al suo paese?
    La risposta e semplice perche a commesso un crimine e se lui dice che non e vero ricordiamoci che si puo anche mentire.

    • scusi,ma lei oltre che ignorante è pure razzista… dove l’ha letto che era in carcere nel suo Paese? è finito nei campi di prigionia libici, dove torturano le persone bruciandole con la fiamma ossidrica, legando loro i piedi dietro il collo, stuprandole, malmenandole, come si è visto in TV poche sere fa, ma per documentarsi non bisogna guardare solo “l’isola dei famosi”, bisogna andare oltre… forse dovrebbe provare a starci un po’ prima di prendersi gioco di chi scappa da posti dove i diritti umani sono inesistenti… idem per chi fa ironia chiedendo quanta strada facesse una bimba con un litro di benzina. Forse nell’articolo ci sarà pure un errore riguardo alla benzina, e solo chi l’ha scritto può saperlo, ma se una sua bimba dovesse attraversare a piedi un deserto per fuggire da guerre o persecuzioni o fame, le assicuro che non riderebbe più sig. Benito M., il cui pseudonimo già la dice lunga sulla sua umanità… E per il sig. jkl, si ricordi che esistono anche gli accenti nella lingua italiana, “gnanca bun a scrive” e parla male di storie che non conosce…

  2. Prima forse bisognerebbe chiedersi chi è Ikra, e come mai è stata accomunata alla storia di questo ragazzo… Molte volte quando si attraversano momenti così difficili, al confine tra la vita e la morte, si fanno delle cose molto pericolose, i più deboli putroppo muoiono, altri più robusti sopravvivono ma hanno per sempre gravi problemi di salute… comunque invece di dire subito che non è vero, bisognerebbe chiedere alla redattrice dell’articolo che spieghi meglio cosa è successo a questa bambina, come vive adesso etc…

  3. A volte può capitare che qualcuno beva accidentalmente un po’ di benzina mentre cerca di travasarla dal serbatoio. Si tratta di un’esperienza spiacevole, che potrebbe creare un po’ di panico; tuttavia, con le cure adeguate, non è necessario correre in ospedale. Se, però, la vittima ha ingerito grandi quantità di carburante, allora la situazione è grave; bastano 30 ml per intossicare un adulto e meno di 15 ml per uccidere un bambino. Presta molta attenzione quando soccorri qualcuno che ha bevuto benzina e non indurre mai il vomito. Se hai dei dubbi o sei preoccupato, chiama immediatamente il centro antiveleni della tua Regione o il 118.

    marx sono ignoranti anche quelli di wiki?? , o forse tu bevi tutti i giorni un bicchiere di super e sei la testimonianza che e salutare??

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