VALSUSA, LA CAVA DI CASELETTE IN MEZZO AI PRATI, TRA IL MUSINÈ E LA SACRA: ANCORA SILENZI SULLO SMARINO DEL NUOVO AUTOPORTO

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di FABIO TANZILLI

CASELETTE – Non bisogna essere estremisti ambientalisti, o seguaci di Greta Thunberg, per affermare che la cava di Caselette alle porte della Valsusa in località Grangetta, ben visibile sulla strada provinciale 24 del Monginevro, in mezzo al verde dei prati ai piedi del Musinè e di fronte alla Sacra di San Michele, sia proprio un pugno nell’occhio. E’ opportuno anche chiedersi che benefici porta al territorio una simile “coltivazione” di ghiaia in un’area tutelata vincolata dal punto di vista ambientale e tutelata per legge, e sarebbe anche prezioso capire per quale motivo sia stata autorizzata una simile attività, dai vari enti pubblici, nel corso degli anni: Comune di Caselette, Città Metropolitana di Torino, Regione Piemonte.


A seguito della pubblicazione della notizia sullo smarino che arriverà dal cantiere dell’autoporto di San Didero, ci sono le prime reazioni, ma tra le istituzioni permane il mistero e poca chiarezza.


Il Comune di Caselette ha diffuso una comunicazione pochi giorni fa, dove però non fa alcuna menzione sulla provenienza dello smarino. Nel comunicato non viene mai citato l’autoporto di San Didero.
Il Comune quindi non è stato informato o non conosce tali operazioni?
Oppure non vogliono comunicarle alla cittadinanza?

Se il Comune di Caselette davvero non sa da dove proviene il materiale che ospiterà nel proprio territorio, e si parla di circa 30mila metri cubi di terreno proveniente da San Didero, è abbastanza preoccupante.
Perché si tratta di un cantiere importante per la Valle di Susa, così come di scavi molto delicati.
Come riportato in un articolo da ValsusaOggi nel 2021, a proposito del bando di gara per il monitoraggio ambientale nel cantiere del nuovo autoporto di San Didero, la Sitaf stessa aveva scritto ufficialmente di eventuali rischi in merito alla possibile presenza di amianto: “Il fattore di rischio è legato all’eventualità di rinvenimento di trovanti e blocchi di meta-ofioliti durante le opere di scavo”.
Le Ofioliti sono rocce e più precisamente “sezioni di crosta oceanica e del sottostante mantello che sono state sollevate o sovrapposte alla crosta continentale fino ad affiorare. Il nome ofiolite, dal greco ὄφις= serpente e λίθος = roccia, letteralmente roccia serpente, è dovuto alla loro caratteristica colorazione verdognola, che ricorda la pelle di molti rettili. Le ofioliti sono conosciute nel lessico popolare con il termine di rocce verdi o pietre verdi” (fonte Wikipedia). E come riporta sempre l’enciclopedia Wikipedia: “L’85% dell’amianto prodotto nel mondo è stato estratto dai termini ultrabasici peridotitici e serpentinosi delle rocce ofiolitiche, ricchi in crisotilo. Le rocce amiantifere si rinvengono nelle ofioliti tettonizzate: lungo le fratture, le zone di faglia e i contatti con le strutture intrusive”.


Questo non vuol significa affatto che nella cava di Caselette sarà ospitato terreno che potrebbe essere contaminato da amianto. Ma sicuramente si tratta di un tema su cui porre molta attenzione. Dal canto suo, il Comune di Caselette ha promesso che “provvederà al monitoraggio del materiale utilizzato per il ritombamento della cava, nominando un tecnico competente per materia che effettuerà controlli a campione sui materiali presenti in cava”.
Il Comune sostiene che “la coltivazione della cava in argomento prevede l’estrazione di una volumetria massima di mc. 220.706, che il ritombamento avvenga con materiale inerte con caratteristiche geomeccaniche e di permeabilità simile a quello attualmente in loco, e che al termine della coltivazione l’area dovrà essere riutilizzata ai fini agricoli e siano ripristinate le funzionalità irrigue in tutta l’area”. Il Comune ribadisce che “Il ritombamento per il successivo recupero ambientale potrà avvenire solo con materiale proveniente da scavi e con caratteristiche rientranti in tabella “A” e pertanto non inquinanti”. A tal proposito, la legge prevede che i materiali utilizzati siano soggetti ad analisi effettuate su campionamenti nel sito di produzione, e successivamente anche nel sito di cava. I controlli dovrà effettuarli la Regione Piemonte con l’Arpa (Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente).
Sempre dal fronte istituzionale, questa volta Regione Piemonte, al momento non arrivano altre informazioni chiare su cosa ospiterà la cava di Caselette. Martedì 7 febbraio la consigliera regionale Frediani ha interrogato la giunta in merito all’iter autorizzativo che ha portato all’approvazione dell’attività presso la cava di Caselette per la Società Cave Druento srl. Si tratta, come spiegato da ValsusaOggi nell’articolo del 2 febbraio, di un’area vincolata dal punto di vista ambientale. E il vincolo vieta espressamente sia le nuove attività estrattive sia l’utilizzo del sito come discarica.
Questa autorizzazione assegnata dalla Regione Piemonte pone delle perplessità: “L’attività nella cava di Caselette non è mai stata avviata dal precedente titolare, il che rende piuttosto incomprensibile il passaggio, con deroga al vincolo di tutela, da una società all’altra in virtù del “completamento di lavori già previsti dal progetto autorizzato” afferma la Frediani. La Regione Piemonte, con i suoi tecnici, ha effettuato un sopralluogo nel mese di agosto 2022, dal quale sarebbe emerso che erano iniziati i lavori di preparazione alla coltivazione. Ma secondo la consigliera regionale “il sopralluogo sarebbe comunque avvenuto successivamente al subingresso nella titolarità della cava”.

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8 COMMENTI

  1. Viste le solite ed evidenti violazioni dei vari vincoli che tutte le attività legate al TAV si possono permetter di fare senza la minima risposta da parte delle istituzioni, anzi ci si accanisce contro chi pone in evidenza queste schifezze, la assoluta dabbenaggine del comune, che alla meglio si è fatto infinocchiare, la solita omertà della regione che come sempre latita nelle risposte e se fa i controlli li fa quando è tardi non sarebbe il caso di presentare una denuncia e chiedere un immediato stop delle attività e sequestro della cava ?

  2. Un cava che sarebbe un “sia proprio un pugno nell’occhio” coltivata ed autorizzata da anni da un comune amministrato da politici da sempre in prima fila ai cortei ed alle iniziative notav al confine di altri due comuni, Avigliana ed Almese, che certamente non sono da meno e nessuno si è mai accorto di nulla?
    Ed anche voi di questo giornale non ve ne siete mai accorti?
    Davvero strano.

    • Come non si sono accorti dei rifiuti contenenti amianto stoccati per decenni e diventati improvvisamente pericolosi solo quando si è cominciato a parlare dei cantieri per il tunnel del Tav.

  3. Strana la mancata coltivazione in anni passati se non ci fossero stati vincoli o altri impedimenti.
    Con il ritombamento il pugno nell’occhio e l’eventuale carico di inquinanti potrebbero essere occultati e l’uso agricolo ripristinato.
    Probabilmente questo maquillage sarà fatto per comoda convenienza e successivo oblio collettivo.
    Alterazione geologica a parte, rimane una pioggia di quattrini che farà ricco qualcuno, o lo farà più ricco di quanto già sia.
    I polli, tutti noi e gli amministratori locali, ancora una volta saranno rimasti a guardare.

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