A GIAVENO ORA C’È VIA PRADERA

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GIAVENO – La Giunta comunale nella seduta di venerdì 30 giugno ha approvato l’intitolazione della strada che collega la rotonda nuova su via Selvaggio con via Monsignor Carlo Bovero. Si chiamerà via della Pradera, ricordando la cava che diede le pietre necessarie alla costruzione del Santuario del Selvaggio. Con l’intitolazione della via sono state anche riordinate alcune numerazioni delle abitazioni. Il Santuario del Selvaggio come lo conosciamo oggi è il frutto di un importante ampliamento di una chiesa precedente. I lavori si svolsero tra il 1908 e il 1909 e coinvolsero direttamente i borghigiani. I selvaggesi furono anche molto generosi donando offerte, insieme ad altri privati, per il pagamento dei cavatori e degli scalpellini che lavorarono alla cesellatura delle grandi pietre squadrate che ancora oggi ornano la parte esterna del Santuario. I cavatori erano alle dipendenze della famiglia Mollar, di Cumiana, che aveva iniziato nella seconda metà dell’Ottocento l’attività estrattiva di pietre da costruzione. Il nome del luogo, poco sopra Selvaggio, è da allora Pradéra, che significa appunto “il luogo in cui si cavano le pietre”. I cavatori intercettarono anche delle sorgenti d’acqua, e oltre ad utilizzarla per il loro bisogno, realizzarono il primo rudimentale acquedotto per la borgata Selvaggio. Si legge in un articolo di Ennio Baronetto pubblicato sul Bollettino Cai Giaveno: “Per tre generazioni i Mollar praticarono l’estrazione delle pietre; le modellavano e le vendevano oltre i limiti della vallata e verso la pianura piemontese fino a Torino. Il Santuario di Nostra Signora di Lourdes a Selvaggio, l’Ospizio Richelmy a esso adiacente, l’Asilo Maria Zappata, la Casa Missionaria, ville signorili e case più modeste erette in Val Sangone e altrove testimoniano l’opera degli scalpellini, i quali alternavano l’attività estrattiva alla Pradéra, con la prestazione d’opera per lavori di particolare pregio alla Sacra di San Michele. Nell’immediato dopoguerra e con i primi segnali di uno sviluppo industriale che in anni successivi avrebbe portato allo spopolamento delle montagne, iniziarono le defezioni. Tra gli scalpellini della terza generazione della Pradéra, li píca pëire, alcuni emigrarono in Francia o a Torino, qualcuno buttò la spugna perché ammalato di silicosi e altri finirono nelle fabbriche”. “Abbiamo finalmente messo mano a una situazione toponomastica che metteva in difficoltà alcune famiglie residenti – spiega il Sindaco, Carlo Giacone – È stata una mia forte volontà quella di risolvere questo problema e nel contempo, ricordare un importante luogo della nostra storia giavenese e di Selvaggio, in modo che non si perda con le nuove generazioni, ma rimanga sempre viva”.

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2 COMMENTI

  1. Ovviamente l’aggiornamento dei documenti di tutti i residenti ” interssati “……Sarà a carico del comune, Vero?

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